Arp du Capitani

Arp du Capitani

Arp du Capitani

Potete ascoltare l’audio della descrizione qui:

Dalla rotabile che sale da Cumiana verso la frazione Ravera si diparte una mulattiera usata un tempo dai pastori del luogo. Il tracciato, segnalato con cura dal Cai, conduce ad un luogo dal nome curioso: “Arp du Capitani”, l’alpeggio del Capitano. Vi sorgono due baite isolate, oggi sapientemente riattate per ospitare un accogliente rifugio alpino. La denominazione deriva da un antico proprietario, forse un ufficiale dell’esercito ai tempi delle guerre di indipendenza, diventato ricco possidente e poi ritiratosi a vita privata.

Proprio qui, all’Arp du Capitani, 850 metri di altitudine, ebbe sede fin dall’autunno 1943 il primo gruppo partigiano di Cumiana, la cosiddetta "Banda Cattolica", chiamata anche Banda del Gran Dubbione, località della vicina Val Chisone verso cui era agevole riparare in caso di attacco nemico.

Vi aderirono alpini sbandati, ragazzi di leva nativi dei luoghi, alcuni civili cumianesi, giovani della borghesia torinese e dell'Azione Cattolica che non intendevano presentarsi ai bandi della Repubblica Sociale.

Silvio Geuna

La formazione già in ottobre contava una cinquantina di uomini: il numero sarà riferito, molti anni dopo, da Pino Casadei, classe 1915, il basista che in paese, a rischio della vita, si occupava dei rifornimenti alle baite dell’Arp. Ma bastarono poche altre settimane per radunare oltre cento componenti: del resto, la notizia che sopra i monti di Cumiana si stava concentrando un gruppo di giovani ebbe presto una larga eco anche fuori paese, nonostante il tentativo di mantenere il riserbo sulla faccenda. I centri di reclutamento in città facevano capo ad almeno due parrocchie importanti: Gesù Nazareno in via Palmieri (zona Cit Turin) e San Gioacchino, in corso Giulio Cesare, davanti alla stazione della vecchia Cirié–Lanzo. Ma tutti gli ambienti cattolici torinesi erano implicati nel reclutamento dei ragazzi e il loro avvio verso la montagna cumianese. Un rapporto della Guardia nazionale repubblicana del maggio 1944 (quando ormai la banda si era sciolta) riferì circa l’interrogatorio di certo prof. Saletti del centro diocesano torinese il quale fu costretto, non sappiamo con quali mezzi, ad ammettere "d'avere indirizzato nella zona di Cumiana giovani che avevano espresso la precisa volontà di passare ai ribelli"".

Comandava la Banda Cattolica il sottotenente della Julia Silvio Geuna, classe 1909, il quale cercò di inquadrare militarmente i ragazzi, per lo più privi di esperienza. Organizzò turni di guardia a valle e a monte dell’Arp e un veloce addestramento. Scarseggiavano però armamento e munizioni: qualche moschetto arrivava dalla formazione di Marcellin, che agiva in Val Chisone, in cambio di farina e viveri che venivano comprati nelle cascine dei mezzadri della pianura, talvolta in contanti, talaltra con dei semplici “buoni”: i contadini, tutto sommato, preferivano venderli ai prezzi di mercato piuttosto che conferirli all’ammasso a valori ribassati.

Piero Catti (1922-2007) ai funerali del fratello Giorgio (1945)

Gli uomini della Cattolica non raggiunsero mai una piena efficienza operativa. Alla prova del fuoco, l’8 marzo 1944, nel tentativo di disarmare il presidio della Todt di None (l’ente tedesco che si occupava di lavori per conto della Wehrmacht) dove erano custoditi camion, coperte, e altro materiale utile per la sopravvivenza in montagna, ebbero tre morti: Carlo Camosso, Angelo Cresti e Alfredo Serra (una lapide li ricorda alla stazione ferroviaria di None). Dopo lo scontro la banda entrò in una crisi irreversibile, complice anche la cattura a Torino di Silvio Geuna (31 marzo 1944) divenuto nel frattempo membro del Comitato militare regionale piemontese per conto della Democrazia cristiana. I rapporti di Geuna con Cumiana e la Banda Cattolica non emersero durante gli interrogatori: fu condannato all’ergastolo esclusivamente per l’appartenenza al Comitato. Sarà liberato dal carcere di Ivrea nei giorni dell’insurrezione.

Se sul piano militare dunque la Banda giocò un ruolo secondario, sotto il profilo morale ebbe un valore significativo perché i giovani conobbero la loro prima avventura da “ribelli” con tutto ciò che ne conseguiva: l’ebbrezza di una scelta pericolosa e al tempo stesso entusiasmante, intrapresa voltando le spalle all’ipocrisia e all’inconsistenza di un regime alle corde, sottoposto agli ordini dei tedeschi e tuttavia ancora tracotante.

Giorgio Catti con mitra e cappello da alpino

Non esistono purtroppo fotografie che ritraggano la banda. Restano i nomi di alcuni dei componenti trascritti nei registri compilati dopo la Liberazione all’atto della smobilitazione per il riconoscimento delle qualifiche. Con la consapevolezza di dimenticarne molti, non per nostra volontà, ma per carenza di dati, eccone un elenco parziale. Del fondatore e comandante Silvio Geuna, abbiamo già detto. Tra gli altri ricordiamo Mario Costa, il figlio 19enne del poeta dialettale Nino Costa, che arriva a Cumiana accompagnato dal padre, con l’aria di compiere una gita domenicale (morirà combattendo sul Génévris il 2 agosto 1944 tentando la riconquista della vetta caduta in mano ai tedeschi; la posizione verrà ripresa dal comandante Ettore Serafino qualche ora più tardi). E poi Gianni Daghero (“Lupo”), i fratelli Giorgio e Piero Catti sfollati in paese, i torinesi Nino Torretta, Ettore Sisto, Giuseppe Reviglio, Tito Du Montel, Gino Baracco, i fratelli Giorgio e Rodolfo Sacco, Piero Bossotto; i cumianesi Claudio Turinetto, Ugo Giai Merlera, Silvio Maritano, Aldo Coccolo, Luigi Toscano, Attilio Ruffinatto, Armando Trossero.

Il 10 maggio 1944 la “Cattolica” cessò di esistere quando il grosso della banda si era ormai spostato sul versante valchisonese del Grandubbione (Pinasca). La banda venne attaccata da ingenti forze nazifasciste nell’ambito dell’operazione Habicht che per più giorni investì le valli a sud-ovest di Torino. Colti di sorpresa all’alba, ben ventisette uomini furono catturati: quattordici vennero trasferiti in carcere alle Nuove di Torino e giustiziati il 26 maggio in Val Sangone. Dodici furono portati a Perosa Argentina, nell'Istituto Salesiano (attuale Centro per anziani) sede del comando tedesco, interrogati, torturati e infine condannati a morte. L’esecuzione avvenne in uno spiazzo erboso sotto il ponte delle Balze, a Castelnuovo (Pinasca); l’ultimo, Stefano Manassero, venne fucilato al convitto del Cotonificio Abegg di Perosa.


Questi documenti si riferiscono all'esito delle indagini della GNR con dell'interrogatorio del prof.Saletti, mentre quello tedesco proviene dall'Archivio militare di Friburgo ed è pubblicato su Facebook dallo storico Carlo Conterno di Farigliano (Cuneo).
GNR Saletti Comandante Buch[ cliccare le immagini per ingrandire ]


Fonti:
• Luciano Boccalatte, Andrea D’Arrigo, Bruno Maida, Guida ai luoghi della guerra e della Resistenza nella provincia di Torino, Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea "Giorgio Agosti" - Blu Edizioni, Torino, 2009
• Marco Comello, Covo di banditi, Alzani, Pinerolo, 1998
• Gianni Oliva, La Resistenza alle porte di Torino, prefazione di Guido Quazza, Edizioni Franco Angeli, Milano, 1989
• Regione Piemonte, Atlante toponomastico del Piemonte Montano - n. 61 - Cumiana, Atlante Linguistico Italiano, Torino, 1922
• Mauro Sonzini, Abbracciati per sempre, Gribaudo, Cuneo, 2004
• Angela Trabucco, Resistenza in Valchisone e nel Pinerolese, Alzani, Pinerolo, 1984
https://www.anpicumiana.it/documenti.html
http://www.memorialcumiana.it/homepage.html
Airsp, Banca dati partigianato piemontese


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Video di Bella Ciao eseguita da Paolo Fresu

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